ChatGPT, il Natural Language Processing sviluppato da OpenAI che utilizza l’intelligenza artificiale per elaborare discorsi compatibili con quelli umani, attraverso le sue molteplici funzionalità, tra le quali spiccano il chatbot e la creazione di contenuti, è spesso al centro di accese discussioni, tra chi sostiene che sia una risorsa e possa rappresentare un strumento utile in svariati contesti e chi invece ritiene non sia altro che l’ennesima maschera dietro la quale si celano le inquietudini esistenziali di un futuro nel quale la creatività umana svolgerà un ruolo sempre più residuale rispetto alle nuove tecnologie.

Recentemente questo discusso sistema si è trovato al centro di un’ennesima controversia, questa volta addirittura legale.

Il 28 Giugno scorso infatti OpenAI, la società sviluppatrice di ChatGTP, è stata citata in giudizio da due autori per la presunta violazione del diritto d’autore. Secondo i due querelanti la società avrebbe impiegato impropriamente alcune opere protette dal copyright per istruire il sistema di apprendimento automatico di ChatGPT al fine di migliorare la qualità delle conversazioni elaborate da esso. I due autori, Mona Awad e Paul Tremblay, hanno presentato quindi un’azione collettiva volta denunciare la violazione da parte di OpenAI del DMCA, ovvero il Digital Millenium Copyright Act, la legge sul copyright degli Stati Uniti d’America, che risale al 1998 e che rende illegali la produzione e la divulgazione di materiali protetti dal diritto d’autore anche sulla rete.

Questa causa potrebbe far emergere una realtà problematica per OpenAi dato che, secondo le valutazioni fatte dall’accusa, la società avrebbe utilizzato più di 300.000 prodotti letterari per accrescere le capacità di elaborazione della sua creatura, tra cui diversi libri reperiti attraverso una ricerca effettuata in diverse librerie virtuali illegali che forniscono accesso a libri e contenuti protetti dal copyright.

Naturalmente OpenAI nega queste ricostruzioni e afferma di aver rispettato tutte le norme relative al copyright, avendo fatto un uso lecito del materiale protetto dal diritto d’autore. Secondo diversi analisti, la difesa di OpenAI appare un po’ fragile e potrebbe non reggere in giudizio. Ci sono tuttavia ancora molte prove da esaminare e il processo è alle battute iniziali. La società potrebbe pertanto ribaltare in suo favore la sentenza.

Ciò che emerge tuttavia dalla documentazione processuale elaborata dall’accusa è che un elemento cruciale del funzionamento di Chat GPT sarebbe l’ acquisizione costante di nuove conoscenze a partire dal materiale letterario di produzione umana. Questo aspetto potrebbe in qualche modo “consolare” i più scettici rispetto alla rivoluzione digitale imposta da strumenti come quello sviluppato da OpenAI: persino l’algoritmo infatti deve riconoscere il carattere derivativo delle sue produzioni rispetto a quelle, frutto dell’ingegno e della creatività dell’uomo.

Questa forma di “umiltà” tecnologica è, però, anche il fattore determinante che rende così ricchi e avvincenti gli scenari che potrebbe produrre in futuro l’avvento di ChatGPT e dell’intelligenza artificiale applicata ad un ambito così umano come quello della creatività.

Questa disputa legale potrebbe costituire un tassello importante nel processo di adeguamento delle normative legate al copyright rispetto alle nuove sfide imposte dall’intelligenza artificiale, un sistema che continua la sua inarrestabile evoluzione, raggiungendo costantemente nuove frontiere ma che, al contempo, potrebbe costituire una minaccia al diritto d’autore così come l’abbiamo concepito finora.

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