Arriva la decisione di Open AI, azienda che gestisce ChatGPT, di impegnarsi a pagare le spese legali per tutti gli utenti che sono stati citati in giudizio per violazione del copyright in relazione all’utilizzo del chatbot.
Si tratta di una strategia di “Copyright Shield” che mira a fornire tutela agli utenti business di ChatGPT Enterprise e della piattaforma disponibile per gli sviluppatori. L’annuncio è avvenuto il 6 Novembre al DevDay, quando il CEO di OpenAI, Sam Altman, ha dichiarato che l’azienda intende porsi a difesa dei suoi clienti sobbarcandosi i costi dell’assistenza legale di questi ultimi davanti a procedimenti giudiziari legati alla violazione del Copyright nell’ambito dell’utilizzo di ChatGPT Enterprise e API. Si tratta di una linea già adottata da colossi come Microsoft, Google e Amazon, i cui utenti erano rimasti a loro volta coinvolti in controversie giudiziarie sempre legate alla violazione del copyright.
Una contromossa che le grandi major hanno messo in campo in risposta alle proteste che, negli ultimi mesi, hanno travolto il mondo dell’intelligenza artificiale. Le critiche riguardano principalmente l’impiego dell’AI nelle professioni creative: Cinema, arte, letteratura, il timore di molti è che le grandi aziende, in barba alle regole sul copyright, utilizzino i prodotti della creatività umana per istruire le intelligenze artificiali alla produzioni di contenuti sempre più elaborati per poi sostituirle gradualmente ai tanti lavoratori del settore. Un tema questo che ha spinto molti artisti e sceneggiatori a scendere in piazza in occasione dell’enorme sciopero che ha bloccato l’industria di Hollywood per mesi. A portare la polemica dalle piazze ai tribunali è stata la comica statunitense Sarah Silverman, seguita subito dopo dall’Authors Guild, il sindacato che riunisce i professionisti dell’industria editoriale americana, che si è impegnato ad inserire nei contratti una clausola che impedisca ai testi prodotti di essere utilizzati per l’addestramento delle intelligenze artificiali.